L’altro giorno, Gianna (la mia “pusher” di frutta e verdura), mi ha raccomandato di comprare le mele: “queste sono mele vere e non so se ne troverò altre”, mi ha detto. Sapevo esattamente cosa voleva dire con “mele vere”, così ne ho prese un bel po’. I prodotti ortofrutticoli, soprattutto negli ultimi anni, hanno subito una drastica riduzione delle specie, che ne ha visto limitare le coltivazioni a quelle più convenienti sul piano economico, e, quindi, anche a quelle più belle dal punto di vista estetico. Un esperimento, condotto in America, ha decretato, che non siamo più in grado di apprezzare il sapore dei frutti più comuni, come la mela o la fragola ad esempio, perché ci siamo troppo abituati al sapore di “fragolosità” o di “melità” dei prodotti industriali. In pratica, il nostro cervello riconosce come maggiormente verosimile un sapore sintetico di mela, innalzato oltre ogni aspettativa naturale, tanto da decretare poco invitante o poco “meloso” il sapore della mela vera. Già nel 1985, Michel Serres, nel suo libro “Le cinq sens” ci avvisava così: “L’albicocca molto presto non avrà altro gusto se non quello della parola che entra in bocca per pronunciare il suo nome.”. I giovani soprattutto, tendono, perché invogliati dal marketing, a consumare prodotti che giocano su gamme di sapori sempre più ristrette e rozze: il forte e il piccante delle salse di condimento da un lato, il dolce delle bevande zuccherate dall’altro, volendo fare una sintesi assoluta. In questo modo, il piacere di mangiare si esprime attraverso emozioni indotte in modo artificiale, in maniera istantanea e semplificata, esagerata al limite del violento, ma soprattutto effimera. Per citare testualmente il prof. Simonetti (docente di food design del Politecnico di Milano), ci stiamo privando “di ogni sottigliezza gustativa” finendo per “restare orfani di aree di cultura materiale sempre più vaste, dunque, di ciò che lega il sapore al sapere.”. Mentre ci illudiamo, quindi, di avere un’alimentazione sempre più ricca, in realtà ci stiamo impoverendo, soprattutto perché siamo spinti a consumare cibi di cui non conosciamo né “l’origine, né la storia, né la composizione reale”. Ci nutriamo, di fatto, di alimenti senza identità: i C.A.N.I (composti alimentari non identificabili), come li chiama, appunto il prof. Simonetti. I C.A.N.I infatti rappresentano circa 80% (ma forse anche di più) di ciò che mangiamo e che, a quanto pare, non è affatto quello che crediamo di mangiare. Ho pensato molto a cosa fare di queste mele, oltre a quelle che ho mangiato tal quali, chiaramente, e alla fine ho deciso di usarle in ogni modo possibile in un’unica ricetta. Questa torta di mele è fatta di succo di mela, di mele intere, di salsa di mele e di mele essiccate, perché se abbiamo bisogno di sentire la “melosità” affinché qualcosa ci sappia di mela, che almeno sia una “melosità” fatta di mele vere. Fonte: http://www.pages.mi.it/oldpages/?p=3244. INGREDIENTI
PROCEDIMENTO Preparate, meglio se il giorno prima, la salsa di mele, secondo il procedimento che trovate a questo link. Mischiate insieme la farina 2, la farina di avena, la cannella e il pizzico di sale. Aggiungete l'olio e il succo di mela, continuando a mescolare con la frusta fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo. Ungete e infarinate una teglia per torte di 16 - 18 cm di diametro. Tagliate le mele a fettine molto sottili. Aggiungete al composto il lievito e il limone mescolando energicamente. Versate il composto nella teglia e sistemate le mele secondo il disegno che più vi piace. Infornate, in forno già caldo, a 180° per circa 35 minuti. Sfornate e fate raffreddare. Una volta raffreddata potete tagliare in 2 la torta e farcirla con la crema di mele. Polverizzate le mele secche e distribuite sulla torta come fosse zucchero al velo (in alternativa potete usare anche della farina di cocco). Se preferite, potete anche utilizzare una teglia per muffin: otterrete delle piccole tortine da servire con una cucchiaiata di salsa di mele.
Saranno perfette per l'ora del tè.
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Mia madre è una donna fiera e orgogliosa, abituata a rimboccarsi le maniche e cavarsela da sola; chi la conosce sa che non è particolarmente propensa ad accettare consigli e correzioni. Volerle bene è facile, perché è mia madre, ma è anche complicato. Si possono gestire amori finiti, amici difficili, amanti egoisti, ma la relazione affettiva più impegnativa di sempre, per una donna, resta quella con la propria madre. E non importa che tipo di madre hai avuto: oppressiva, incoraggiante, sacrificata, egoista... il percorso verso un giusto equilibrio sarà lungo e a volte farà male. Tua madre è dentro di te: la rivedi nella forma dei tuoi occhi che invecchiano, nella struttura delle tue mani mentre ti tagli le unghie, nel modo in cui affronti un litigio. Sei uguale a lei, almeno un po’. Sei uguale a lei anche quando il bisogno di sentirti adulta, non più figlia ma donna, ti porta a rinnegare ciecamente tutto quello che lei rappresenta. Illustri psicologici dicono che questo è un passaggio obbligato per chi è alla ricerca di se stessa. E io sono d’accordo. Il giorno del suo compleanno mia madre mi ha chiamata: si era inventata la ricetta di una ciambella al cacao prendendo spunto dal mio blog e dai miei consigli. Lei, che mai avrebbe potuto immaginare una cucina diversa da quella che conosceva, ora segue (quasi) il mio stesso stile alimentare, si lascia guidare da me per fare la spesa e mi chiama per informarmi dei benefici che riscontra. Non sono mai stata così felice di condividere una ricetta. Questa non è solo una ciambella al cacao: è la testimonianza del fatto che trovando me stessa, alla fine ho aiutato anche mia madre a trovarmi e (mi piace pensare) a trovarsi. Sono ancora la sua bambina da educare e da proteggere, ma sono anche una donna con cui confrontarsi, ogni tanto, da pari a pari. Non è stato facile arrivarci, così come non è stato facile, negli anni passati, non cedere alla tentazione di evitare gli scontri diretti, consapevoli di quanto male avrebbero potuto fare. Ma tutto questo ci ha educate a volerci bene per quelle che siamo veramente, ad accettare i nostri incomprensibili rispettivi mondi e a dire “amen” di fronte alle scelte incondivisibili dell’altra. Litighiamo spesso, lo faremo per sempre temo, ma il grosso del lavoro è stato fatto. Sono fiera della sua ciambella, di lei, e della parte di me che le somiglia. INGREDIENTI
PROCEDIMENTO Preriscaldate il forno a 180°. Private i datteri del nòcciolo e sminuzzateli. Tritate le mandorle con un mixer. In una ciotola, unite insieme la farina, il cacao e la farina di mandorle ottenuta. Aggiungete anche l'olio e il latte d'avena continuando a mescolare, fino a che il composto non risulterà omogeneo. A questo punto, incorporate il lievito mescolando energicamente. Infine, unite i datteri e distribuiteli in maniera omogenea. Ungete e infarinate una teglia per ciambelle e versateci dentro il composto ottenuto. Infornate a 180° per circa 35 minuti. Spolverizzate, se volete, con farina di cocco esattamente come fareste con lo zucchero al velo. Questo deve essere il mio anno fortunato: non faccio in tempo a finire le nocciole piemontesi che mi ha regalato mio zio, che subito una mia cara amica mi porta in dono le nocciole della Corsica, bottino della sua meravigliosa vacanza estiva. E allora, che latte di nocciole sia. Se non l'avete mai assaggiato, sappiate che è una di quelle esperienze che bisogna fare almeno una volta nella vita. INGREDIENTI
PROCEDIMENTO Frullate le nocciole insieme a un poco d'acqua. Aggiungete il resto dell'acqua poco per volta continuando a frullare. Preparate una ciotola, un colino e un panno di stoffa (che avrete precedentemente fatto bollire, per togliere l'odore di detersivo). Mettete il panno di stoffa nel colino e versate dentro tutto il liquido per filtrarlo. Lasciate scolare il latte strizzando bene il panno. Aggiungete al liquido lo sciroppo di agave e la vaniglia. Mescolate bene. Togliete dal panno di stoffa la polpa di nocciola rimasta. In questo modo potrete conservare la polpa al naturale e riutilizzarla eventualmente anche per ricette salate. Se preferite, filtrate di nuovo il liquido. Trasferite il latte dalla ciotola a una bottiglia di vetro. Conservatela ben chiusa in frigorifero, dove potrete tenerla per massimo 3 o 4 giorni. INGREDIENTI
Mettere in ammollo i fagioli di soia dalla sera prima. Il giorno dopo, sciacquare abbondantemente la soia e frullarla con mezzo litro di acqua fino ad ottenere un composto piuttosto omogeneo. Aggiungere l'altro mezzo litro di acqua e, se possibile, frullare nuovamente tutto insieme. Cuocere il "frullato" ottenuto per circa 20 minuti a fuoco medio. Passati i 20 minuti, lasciare raffreddare. Bollire un panno di tela con acqua e bicarbonato. Bollirlo una seconda volta solo con acqua. In questo modo eliminerete ogni traccia di detersivo. Utilizzate il telo per filtrare il composto. Una volta filtrato il tutto, imbottigliate e conservate in frigo per 3, 4 giorni. Il latte ottenuto è un latte di soia completamente al naturale. CONSIGLI
INGREDIENTI:
PROCEDIMENTO Sbucciate l'avocado e privarlo del nòcciolo. Unite i datteri denocciolati e il cacao alla polpa di avocado. Frullate insieme gli ingredienti fino ad ottenere una crema liscia ed omogenea. Versate il composto in stampi da gelato oppure in un contenitore. Riponete in freezer per almeno 6 ore. Una volta gelato il composto, sformate dallo stampo oppure servire in coppette da gelato. Decorate a piacere con la granella o con tutto quanto la fantasia vi suggerisce. |
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