Mi piacciono così tanto i cavolfiori. E, credetemi, mai avrei pensato di poterlo dire. Il cavolfiore, in casa mia, quando ero bambina, si cucinava in tre modi: disfatto in un brodo acquoso in cui mia nonna cuoceva degli spaghetti spezzati (era uno dei suoi piatti preferiti!); bollito oltre ogni ragionevole limite; sempre eccessivamente bollito, come ingrediente dell’insalata di rinforzo. Insomma, il cavolfiore della mia infanzia, era un vegetale maltrattato che, per questo motivo, esprimeva il peggio di sé. Io però ero piccola, cosa potevo saperne? Così ho finito per odiarlo, inserendolo per sempre nella lista nera dei cibi nauseabondi. Ho trascorso tutta la mia vita senza di lui e, quando da grande mi è stato riproposto in tutto il suo potenziale, nonostante mi incuriosisse, l’ho sempre respinto. Per coerenza? Si, forse si. Dopotutto per più di vent’anni avevo detto che non mi piaceva; tutti sapevano che non mi piaceva. Ho perso il conto delle volte in cui mi sono trovata a perseguire un’idea solo perché l’avevo pensata, decisa e proclamata tempo prima, senza tenere minimamente conto di quanto, nel frattempo, fossi cambiata, e con me la direzione dei miei desideri. In realtà, temevo che rinunciare a un sogno (anche se non era più il mio sogno), ad un’opinione (in cui forse non credevo neanche più), a quelli che erano i piani prestabiliti (soprattutto se già condivisi con altre persone), potesse sminuirmi agli occhi degli altri, farmi perdere la mia identità. O meglio, l’identità del mio personaggio. Eh si, perché nell’immaginario collettivo, le persone coerenti (leggi pure rigide), sono persone determinate, forti, vincenti. Niente di più sbagliato, perché le persone rigide sono solo rigide. La coerenza, per definizione, è “ la connessione e l’interdipendenza tra le parti”: niente di più elastico, quindi. Essere coerenti, a quanto pare, vuol dire vivere completamente immersi nella realtà che ci circonda e essere disposti ad adattarci, proprio come fossimo delle barche in mare, ai suoi movimenti ondulatori, alle sue increspature, ai cambi di direzione imposti dai venti, cercando di non affondare. Cosa che, peraltro, accade sicuramente a chi s'irrigidisce. Quando mi sono trovata ad ostentare la coerenza (intesa come rigidità) quale fosse una virtù, non ho fatto altro che compromettere le relazioni con le persone a cui tenevo, perdere l’occasione di sfruttare la spinta travolgente di un cambiamento, ammettere che, sì, dopotutto, avevo perso, ma almeno ero stata la più testarda. Che amara consolazione. Che sia necessaria la resa, talvolta, per fortificarsi e rendere migliore la nostra vita? Questi cavolfiori mi dicono di sì. INGREDIENTI
PROCEDIMENTO Cuocete le cimette di cavolfiore al vapore per 5 minuti. Lasciatele raffreddare. Preparate una pastella con 4 cucchiai di farina di ceci, l'acqua, il sale e il pepe. Mescolate il pangrattato e i semi di sesamo. Disponete una ciotola con i restanti 3 cucchiai di farina di ceci. Impanate le cime di cavolfiore prima nella farina di ceci, poi nella pastella e infine nel pangrattato. Cuocete in forno caldo a 200° per 10 - 15 minuti, dopo averli irrorati con un filo d'olio. Abbiate cura di girarli a metà cottura. Se siete in vena di fare un piccolo sgarro, potete anche friggerli.
6 Commenti
Anna ferraro
23/11/2016 03:16:21 pm
Grazie, forse riuscirò a far mangiare cavolfiori a mio figlio :)
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