Un giorno di primavera ero seduta al tavolino di un ristorante alla Corricella, il porto dei pescatori di Procida, e al mio fianco, impegnati in un acceso battibecco, c'erano un uomo e una donna di mezza età. Parlavano in spagnolo, anzi, litigavano in spagnolo. Lo spagnolo io l'ho imparato da autodidatta qualche anno fa, e quindi riuscivo a capire abbastanza bene tutto quello che si dicevano. Non sono molte le occasioni che ho per sfoggiare la mia abilità con questa lingua e quindi, dopo aver atteso la fine del litigio, tentai un maldestro approccio. Si scusarono moltissimo una volta realizzato che avevo capito perfettamente gli improperi che si erano scambiati, ma poi piano piano la conversazione si fece gradevole. Lei era avvocato, lui faceva una non ben precisata professione che lo portava a viaggiare in continuazione in giro per l'Europa, molto spesso in Italia, alcune volte anche a fermarsi per settimane nello stesso posto. Si lamentava, la signora spagnola, della cucina italiana. Cercai di superare l'iniziale risentimento per quel giudizio che mi sembrò quasi un affronto e provai ad ascoltare le sue ragioni. "Mangiate sempre grano, grano, grano. Nei menù dei ristoranti non esiste nessun altro cereale. E poi, nella cucina italiana non esistono i legumi. E le verdure? Sono pochissime e sempre le stesse tutto l'anno: zucchine, peperoni, pomodori… E i menù dei ristoranti? Ci sono sempre le stesse cose: pasta, pizza, lasagna. Quando, come capita a noi, sei costretto a mangiare tutti i giorni, a pranzo e a cena, per settimane, sempre al ristorante, i primi giorni provi qualche piatto tipico del posto, e poi sei costretto a rimangiarli per tutto il tempo che ti rimane." La ascoltavo attonita e spesso avrei voluto dirle che forse era lei a scegliere male i ristoranti. Piano piano però cominciai a capire. Era vero. La ristorazione turistica, quella a cui questa signora faceva riferimento (e quella a cui necessariamente devi rivolgerti, per motivi economici, se hai bisogno di consumare tutti i tuoi pasti, per settimane, al ristorante), ha un'offerta decisamente piatta e si preoccupa relativamente poco di esplorare ad ampio raggio le nostre vere radici culinarie. Ma come possiamo far credere a uno straniero che nella cucina italiana non esistano i legumi? che non esistano le stagioni? che si mangi solo grano? La nostra storia è molto di più che maccheroni, lasagna e solanacee. La vera cucina regionale, soprattutto quella del sud Italia, per varietà di materie prime, abbinamenti di ingredienti, modalità di cottura, ecc. somiglia molto di più a quella mediorientale che a quella caricaturale della little Italy a cui sia la ristorazione che (purtroppo) la cucina domestica, anche in Italia, si sono conformate. Quando mi sono approcciata al libro Veggiestan non l'ho fatto con la curiosità di chi vuole scoprire una cucina straniera, ma ho adottato l'approccio di chi vuole meglio approfondire le sue vere radici. Ricetta dopo ricetta, un ingrediente dopo l'altro, tra le pagine di questo libro sono riuscita a scorgere i campi coltivati della mia terra natìa, i riti, i gesti e le pignatte dei mie avi, sapori e profumi che, in qualche modo, sento che mi appartengono, patrimoni culturali che, malauguratamente, stiamo dimenticando. Dopotutto, nelle terre del Veggiestan, siamo tutti figli dello stesso mare. Dovremmo cercare di non dimenticarlo mai. CUORI DI CARCIOFO CON SALSA AL PISTACCHIO Foto di Roberto Carbonara
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Dicembre 2017
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