Sapete di quanto è calata la produzione di castagne in Italia in circa 100 anni? Del 4000%. Nel 1911 si raccoglievano circa 800 milioni di chili di castagne, nel 2015, invece, se ne sono raccolti 20 milioni. E quest'anno, a quanto pare, il raccolto sarà ulteriormente in calo di circa il 50%. Vite, olivo e castagno: queste erano le piante che maggiormente identificavano il territorio italiano. Le prime due hanno avuto la meglio, sono state preservate, protette, coccolate; la terza, invece, è stata abbandonata ad un decadente destino. E non riesco a farmene una ragione. Il castagno può vivere fino a 4.000 anni ed è quindi più longevo dell'ulivo, ad esempio. Per il fatto stesso che esistano paesi che ne portano il nome (Castagneto Po, Castagneto Carducci), abbiamo la prova evidente che il castagno avesse un ruolo centrale nella vita delle comunità. I suoi frutti, le castagne, forniscono un notevole apporto di carboidrati, simile a quello dei cereali, ma sono talmente ricchi di sali minerali (potassio, fosforo e calcio) che possono essere considerate un vero e proprio integratore in caso di stanchezza cronica. Sono, inoltre, senza glutine, altamente digeribili, ricchi di fibra, della famosa vitamina C e anche della vitamina B9, utile per la produzione di globuli rossi. Basterebbero queste ragioni per valorizzare, proteggere, apprezzare e coccolare il castagno, almeno quanto facciamo con gli ulivi e le viti. Come se non bastasse, però, c'è un debito di gratitudine che abbiamo da pagare nei suoi confronti. Ha sfamato intere popolazioni nei periodi di carestia e miseria. Ma si sa, la miseria, per molti secoli, ha rappresentato una condizione costante per gran parte della popolazione. Per i nostri avi, il castagno era "l'albero del pane" e i suoi frutti venivano chiamati "il pane dei poveri". Già, forse siamo arrivati al punto, perché al di là dei parassiti che minacciano la loro vita, al di là della faticosità del raccolto, al di là del disboscamento di vastissimi castagneti, al di là di tutto, ci sono le storie, le credenze popolari, i pregiudizi passati e quelli ereditati. La credenza popolare sosteneva che il riccio contenesse tre castagne perché una sarebbe toccava al padrone, al ricco, una al contadino e una ai poveri. Considerata, quindi, una fonte di sostentamento dei miserabili, le castagne vennero bandite dai menù di corte e dalle tavole dei ricchi e ci rientrarono solo sul finire del '700, ma sotto forma di marron glacè. Ecco che, con il passare degli ultimi secoli e la graduale sparizione dei ceti poverissimi, la castagna ha smesso di essere vista come cibo che sfama e ha assunto definitivamente il ruolo di leccornia. Da cibo povero e abbondante che salva dalla fame a bocconcino delizioso, prezioso ed elitario. E in questo secondo scenario, a pancia piena, che ci importa di avere distese sconfinate di alberi di castagno o sacchi colmi di chili e chili di castagne? Tutto sommato, possiamo anche arrenderci al fatto che per noi le castangne diventino un frutto esotico, visto che le importazioni, già da anni, superano la produzione nostrana? Spero di no e, tutto sommato, credo di no. Il castagno ha radici troppo profonde nella nostra cultura e nella nostra pancia atavica. Le caldarroste hanno ancora il profumo degli inverni di un tempo, delle passeggiate natalizie, del freddo pungente, della fame, delle famiglie che si stringono intorno al braciere nei giorni di festa. I ricci marroni sono ancora ben incollati alle finestre delle scuole all'inizio di ogni autunno. Accostare per la prima volta le manine intorno al panno caldo e umido che avvolge le castagne appena sfornate e scottarsi, è ancora un rito importante per ogni bambino. La gratitudine, il ricordo, il valore nutrizionale dei suoi frutti: non importa quale di queste motivazioni ci spinga a rivalutare la cura per l'albero del castagno, purché lo si faccia, non fosse altro che per chiedergli scusa di tutti questi anni di trascuratezza. E bisogna farlo adesso, in questo anno che, per lui, è stato il peggiore di sempre. Perché, ne sono certa, anche lui, in tutti questi anni, deve essersi chiesto perché, tra i tanti frutti della nostra terra, proprio lui ha dovuto essere tra i figli più generosi ma meno amati. INGREDIENTI
per 6 crepes (per le crepes)
PREPARAZIONE (per le crepes) Preparate una pastella con la farina di castagne, il latte vegetale e il pizzico di sale. Realizzate le crepes in una padella di circa 16 cm di diametro leggermente unta (io la spennello). (per il ripieno) Tagliate a pezzetti molto piccoli le mele, le pere e i cachi (potete sostituire i cachi con altre mele o pere). Tritate grossolanamente le castagne. Fate scaldare la padella (io uso la stessa in cui ho fatto le crepes). Versate la frutta e le castagne nella padella calda e fatele saltare. Dopo poco sfumate con il vino liquoroso (vanno bene il marsala, il passito, il moscato, ecc.) e il succo di mela, oppure solo con il succo di mela. Aggiungente la cannella, se vi piace. Fate cuocere a fiamma vivace fino a che la frutta non sarà bella asciutta. (assemblaggio) Spalmate sulla crepe la marmellata senza zucchero (io ho usato la conserva che vedete in foto, trovata da Eataly, prezzo € 3,50. In alternativa potete usare anche la marmellata cruda). Aggiungete qualche cucchiaiata di frutta cotta e una manciata di nocciole tritate grossolanamente. Richiudete la crepe e guarnite o con una spolverata di farina di cocco o con una spolverata di cioccolato fondente grattugiato.
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