Fotografie di Natale Verdicchio Una persona che sta formulando un giudizio la riconosci subito: è quella dal sopracciglio (destro, il più delle volte) alzato. Il sopracciglio alzato, però, non è espressione di un nobile esercizio del giudizio di kantiana concezione; è piuttosto - temo io - la manifestazione di una sentenza morale che fonda le proprie radici su postulati granitici e irremovibili. Insomma, Kant c’entra lo stesso, ma solo perché quel sopracciglio alzato incarna lo scenario peggiore che egli potesse ipotizzare in merito alla umana facoltà di giudizio. Se le reminiscenze liceali non m’ingannano, Kant sosteneva che il giudizio, in quanto talento innato dell’uomo, non si potesse insegnare, ma solo educare gradualmente, attraverso esempi e casi pratici, per ottenere un suo corretto sviluppo. Gli esempi e i casi singoli, però, sono sempre numericamente ridotti rispetto alle infinite possibilità di una situazione. Il giudizio quindi, deve imparare prima possibile a confrontarsi con le situazioni reali, diverse di volta in volta, affinché l’esempio non finisca per diventare definitivamente una regola. Se si basasse il giudizio su una casistica limitata di esempi, si rischierebbe non solo di cadere in errore, ma anche di ridurre il giudizio stesso a mera applicazione di rigide regole. In questo modo, l'uomo smetterebbe definitivamente di avere lo stimolo alla riflessione rispetto alle situazioni della vita e la facoltà di giudizio si deteriorerebbe fino all’instupidimento dell’uomo stesso. Questo (se ho capito bene) lo dice sempre Kant, sia chiaro. Lo abbiamo alzato tutti, una volta o l’altra, quel sopracciglio destro. Molti lo alzeranno adesso, di fronte a questo ragù, che vero ragù non è. Se c’è una cosa che mi piace tenere a mente, però, è che non posso e non voglio passare la vita con questa unica e sola espressione facciale. Oltre ad incrementare il rischio dell’instupidimento del genere umano (cosa di cui non vorrei rendermi complice), oltre a rischiare di non apprezzare più le cose per quelle che sono, perché troppo impegnata a pensare a quello che dovrebbero essere (come nel caso di questo ragù) o che vorrei fossero, principalmente renderei la mia esistenza molto, troppo infelice. Perché, come mi disse un giorno un’amica ostetrica molto saggia, “chi giudica molto si giudica molto” (male, aggiungo io). INGREDIENTI
PROCEDIMENTO Sciacquate le lenticchie. Tritate molto finemente la carota, il sedano, la cipolla e l'aglio preferibilmente con l'aiuto di un tritatutto. Versare l'olio in una casseruola e fateci soffriggere il trito di verdure. Unite anche le lenticchie. Versate la salsa di pomodoro e l'acqua nella casseruola. Aggiungete il sale, un poco di pepe e l'origano. Fate cuocere per un'ora. Aggiustate di sale e pepe. Lasciate raffreddare un poco. Frullate grossolanamente con un frullatore ad immersione. CONSIGLI
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Ormai se ne parlava da mesi in città, il casting sarebbe stato domenica mattina. E stava per iniziare. Tutti erano ammassati all’ingresso del teatro, qualcuno addirittura arrampicato sull’impalcatura. Quando la celebre star canadese scese dalla macchina, si sentì uno scroscio di applausi e urla rimbombare per tutto il paese. Nessuno era mai arrivato da così lontano. La folla in delirio ebbe solo un piccolo cenno di ricambio, Sciroppo d’Acero non aveva tempo per autografi e strette di mano. Gli aspiranti attori, arrivati da tutta la regione, attendevano da ore per essere giudicati. L’elettricista, Cece detto Cecè, aveva supplicato i responsabili di potersi occupare delle luci nella sala, così da poter vedere tutto dal vivo. Avrebbe lavorato tutti i fine settimana del mese successivo per ripagare questo favore. Capì che ne era valsa la pena nel momento in cui sentì le voci in lontananza. Era semplicemente stregato. I provini erano iniziati. Il suo cuore si fermò. Sognava quel palco da sempre. Incollato alla scena, sembrava sbattere le palpebre il meno possibile per evitare di perdersi qualcosa. Avrebbe dato qualsiasi cosa per vivere la loro occasione. Passarono un paio di ore e ormai non era rimasto più nessuno da vedere. Cioccolato, serio e amarissimo, scosse la testa. Nocciola, liquefatta in un soffice burro per l’occasione, disse che forse potevano rivedere il sessantunesimo e il quindicesimo, ma la voce annoiata e decisa della star canadese riempì lo spazio con forza: non avrebbero visto nessun altro. Da questo punto in poi non posso più giurare sulla veridicità dei fatti, accadde tutto troppo velocemente; nessuno sa dove Cecè trovò la forza di incipriarsi il viso delicatamente con della polvere di vaniglia e saltare sul palco. Tutti lo fissavano in attesa di una spiegazione. Sarà stato grazie a quella strana alchimia che inebria gli attori una volta in scena che il giovane inesperto si fece coraggio, esibendosi con timida fierezza davanti a un pubblico sconcertato e divertito. Dopo cinque minuti, forse sei, tutto si fermò. Il signor Sciroppo d’Acero, per la prima volta, mosse la mano, e si alzò. Ripeto, è possibile che io mi stia sbagliando, ma oserei dire che l’ombra di un sorriso comparve sul suo volto. Calò il silenzio. Tutti attendevano il verdetto. Sei dei nostri. Cominciamo lunedì. Cece, detto Cecè era nel cast. Francesca INGREDIENTI
(per 6 biscottoni)
PROCEDIMENTO Preriscaldate il forno a 180°. Frullate le nocciole fino a ridurle in crema. Tagliate il cioccolato in pezzi piccoli e regolari. Scolate i ceci dall'acqua di cottura e asciugateli molto bene con un telo pulito. Se i ceci non li avete cotti voi e volete usare quelli in barattolo, vi consiglio di fare attenzione che non abbiano sale aggiunto. Frullate insieme ceci, nocciole in crema, sciroppo e vaniglia fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo. Unite al composto gran parte dei pezzetti di cioccolato, conservandone qualcuno per le "decorazioni" finali. Dividete l'impasto in 6 mucchietti uguali e appoggiateli su di un foglio di carta forno. L'impasto risulterà difficile da modellare: vi consiglio di farlo con le mani un poco bagnate. Schiacciate ciascun mucchietto in modo da ottenere un biscotto di 8, 9 cm di diametro. Decorate aggiungendo ancora qualche pezzo di cioccolato nelle parti vacanti. Infornate a 180° per 15 minuti e poi a 140° per altri 5, 10 minuti. Lasciate raffreddare preferibilmente su di una gratella. INGREDIENTI
PROCEDIMENTO Cuocete il miglio nell'acqua bollente per circa 30 minuti, o comunque fino a che non avrà assorbito tutta l'acqua e risulterà abbastanza asciutto. Lavate i broccoli e cuoceteli velocemente al vapore, incluso il torsolo. Frullate il torsolo, o comunque 1/3 dei broccoli cotti al vapore, insieme alla tahina, ad un cucchiaio di semi di sesamo e un cucchiaino di curry. Una volta ottenuta una crema liscia ed omogenea, aggiustate di sale il composto. Ripassate in padella le cime dei broccoli tagliati grossolanamente con un poco di olio, un cucchiaino di curry, lo spicchio d'aglio e il peperoncino (a piacere). Aggiustate di sale i broccoli appena ripassati in padella. Quando il tutto si sarà intiepidito, unite al miglio, ormai rassodato, sia le cime di broccoli che la crema fatta con i torsoli. Aggiustate di sale e curry, se serve. Ungete un poco una pirofila da forno e versateci dentro il tutto. Cospargete la superficie con i restanti semi di sesamo interi o pestati. Irrorate con un filo di olio. Infornate per circa 30 minuti a 200°. CONSIGLI
*La parola turzo deriva dal latino tursus (stelo, gambo) e nel dialetto napoletano viene usata con diverse accezioni. Si nu turzo. Sei uno stupido. 'O turzo 'e penniello. Quello che resta di un pennello usurato. 'O turzo 'e vruoccole. La parte dura del broccolo. Dall'etichettare una persona stupida, all'indicare una parte poco edibile di un vegetale, la parola "turzo" assume sempre un significato negativo: è una cosa inutile, da scartare o da buttare via. Ma, così come nella vita, anche in cucina, si commettono spesso errori di valutazione. Molti di quelli che crediamo essere scarti alimentari, soprattutto vegetali, sono spesso le parti che contengono la maggiore concentrazione di nutrienti: le bucce di patata, la parte dura del cavolfiore, i gambi dei carciofi, le scorze di fave... e, naturalmente, i gambi della cima di rapa. Quando compro le cime di rapa solitamente realizzo un trittico di ricette: le foglie più grosse finiscono saltate in padella o in una zuppa, le cimette, ovviamente, con la pasta, e i turzi di cime di rapa, prendendosi una bella rivincita, diventano una deliziosa salsa. INGREDIENTI
PROCEDIMENTO Lavate e tagliate i gambi di cime di rapa. Lessateli per 10 o 15 minuti. Lasciateli scolare bene e raffreddare. Frullateli con le noci, i semi di girasole, l'aglio, il sale. Aggiungete il peperoncino nella quantità che preferite. Incorporate in ultimo l'olio. Frullate a lungo per sminuzzare il più possibile la parte più fibrosa dei gambi. Potete conservarla in frigo per tre o quattro giorni in un contenitore per alimenti. CONSIGLI Alcuni consigli su come potete utilizzare questa salsa:
Se c’è una cosa che dovrebbero insegnarci fin da subito è che la nostra mente e il nostro cuore non sono per niente sincronizzati. La mente viaggia veloce, afferra, immagina, progetta; è un frullatore continuamente acceso, sintonizzato sempre sull’attimo successivo a quello presente. Il cuore, invece, ha bisogno di molto tempo per comprendere quello che la mente ha già ben chiaro. È lento, pigro, ipocondriaco e cagionevole, ma talvolta, anche collerico e irruento. Sono così diversi e così in asincrono, che difficilmente riescono a non entrare in conflitto. Di solito vince la mente, perché, pur di non dare tempo al tempo del cuore, è riuscita perfino a convincerci che lo stress possa essere addirittura un vanto: siamo compiaciuti della nostra costante stanchezza, esaltiamo la nostra capacità di non concedersi riposo, siamo competitivi con gli altri sul numero di voci della nostra nostra to do list . Tuttavia, pare non sia mai possibile fuggire da noi stessi. Al cuore basta il più piccolo pretesto per farci crollare addosso il peso di tutti i castelli di sabbia che ci siamo costruiti per difenderci. Prima o poi, lui pretende di imporre il proprio tempo, e per farlo si avvale della complicità del corpo. Si riaffaccia all’orizzonte attraverso un qualsiasi spiraglio: un semplice mal di testa, una dolorosa colica, un impetuoso attacco di panico. Ma in questo logorante gap tra il tempo della mente e il tempo del cuore, poi, volendo, si può sempre scegliere il tempo della polpetta. La polpetta è confortante, umile, bella, familiare e democratica. Si fa con tutto e la sanno fare tutti. Forse è per questo che si è sempre portata dietro il pregiudizio del piatto di seconda scelta. Ma se, nonostante questo, ci piace così tanto, vuol dire che siamo davanti ad un piccolo capolavoro: l’equilibrio perfetto di diversi ingredienti che, in ciascuna delle sue versioni, riesce sempre a condensare interi universi di storie, gusti, valori, profumi. Non basta però fare l’impasto perché si compi il prodigio: bisogna lasciare amalgamare i sapori, rassodare la forma, far in modo che tutto si armonizzi. È il necessario riposo della polpetta* a fare la differenza. E se la cucina può essere metafora della vita, allora possiamo dire anche che il riposo dei pensieri può riportare l’armonia tra mente e cuore. Forse dovremmo imparare che, una volta fatto l’impasto, bisogna sedersi un attimo ad aspettare: imparare a “stare”, affinché tutto si fonda in un unico, armonioso ed appagante sapore. Tra l’atro, mi pare che qualcuno l’avesse già detto che, alla fine, “una polpetta ci salverà”**. Ogni tanto, quindi, le faccio un po’ un polpette, così, solo per non dimenticare mai che esiste un tempo in cui bisogna non fare niente perché le cose vengano meglio, il momento in cui è importante aspettare, aspettare e basta. *Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo, Massimo Montanari, 2010, Editori Laterza. **Una polpetta ci salverà, Anna Scafuri e Giancarlo Roversi, 2013, Giunti Editore INGREDIENTI
PROCEDIMENTO Mettete a bollire un litro di brodo o di acqua del rubinetto. Quando bolle aggiungete una manciata di sale grosso, il miglio e il grano saraceno. Lasciate cuocere per 20 minuti, facendo attenzione che i chicchi restino al dente. Scolate e lasciate raffreddare completamente all'interno del colino. Una volta raffreddato, con un frullatore ad immersione, frullate circa la metà dei cereali. Tritate finemente la carota, la cipolla, il sedano, il rosmarino, l'aglio e la salvia con un tritatutto o anche a mano. Mettete in padella l'olio e il tamari aggiungendo poi il trito di verdure, la foglia di alloro, i chiodi di garofano e le bacche di ginepro. Lasciate andare per 5, 10 minuti aggiustando di sale e pepe. Una volta che il soffritto sarà pronto fate raffreddare. A questo punto eliminate l'alloro, le bacche di ginepro e i chiodi di garofano. Unite il soffritto ai cereali. Aggiungete il prezzemolo e l'aglio tritato. Impastate tutto insieme regolando di sale e di pepe. Quando il composto sarà abbastanza omogeneo, formate delle piccole polpettine di circa 3 cm di diametro. Lasciatele riposare un poco in frigo. Trascorso il tempo del riposo scaldate in padella l'olio, il tamari e i semi di finocchietto e saltate le polpette. Aggiungete un poco di acqua a mano a mano continuando a rosolare per 5, 10 minuti. Se preferite, potete anche sfumare con del vino bianco al posto dell'acqua. Ho servito le polpettine con una cremina di porri alla noce moscata.
INGREDIENTI 1 porro grande 1 patata piccola 2 bicchieri di acqua 100 gr di latte di soia o di brodo vegetale o di acqua del rubinetto noce moscata olio extravergine d'oliva sale integrale pepe nero PROCEDIMENTO Tagliate grossolanamente il porro. Sbucciate e tagliate a cubetti piccoli la patata. Scaldate un filo d'olio in una padella e saltate velocemente il porro e la patata. Aggiungete circa 2 bicchieri di acqua. Lasciate cuocere fino a che la patata non sarà cotta e fino a quando tutta l'acqua non sarà completamente assorbita. Trasferite il porro e la patata in un pentolino e frullate il tutto con un frullatore ad immersione aggiungendo sale, pepe e noce moscata grattugiata. Ponete il pentolino sul fuoco, a fiamma bassissima e incorporate man mano il latte di soia. Versate la crema ottenuta in un piatto, e adagiateci sopra le polpette. |
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